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CerCu Largu





Fig. 2 – Cerco spazio, 
cm 130 x 100, tecnica 
mista su tavola,
di Danilo Montenegro.
Il mio desiderio 

era di fare l’attore, 

tanto è vero

che mia madre 

Fig. 3 – Oh palumbelli, 
di Danilo Montenegro.
aveva accettato

di iscrivermi 

all’Accademia 
cademia di Belle Arti, di Reggio Calabria, ha fat- 
d’Arte drammatica 
to maturare la mia coscienza sociale, culturale e 
artistica ed essere più orgoglioso di appartenere di Roma,

alla cultura popolare contadina. Decisi, quin- ma all’epoca

di, di non cantare più in quel genere di gruppi era molto dificile, 
A me non piace disegnare nel modo fortemen- musicali, e proprio allora scattò l’interesse di 
costava molto, 
te classico, a me piace la linea espressionista, la tornare a riflettere sull’importanza della cultu- 
dovevi studiare 
linea essenziale ma che determina l’interiorità ra popolare, della sua tradizione, e quindi sulle 
della figura stessa e non l’esteriorità. Io ero figlio condizioni storico-sociali della Calabria. Quella dizione, non avere 

di contadini e come tutti quelli che venivamo dai presa di coscienza mi spinse a preparare la tesi accenti marcati

paesi e da quel ceto sociale, avevamo imbarazzo su Arte come educazione sociale, riguardo alla sto- o inlessioni 
quasi vergogna delle nostre radici, in particolare ria dell’arte, e, riguardo alla scenografia, una mia 
dialettali,
del nostro linguaggio popolare contadino, della opera teatrale, Il paese della cuccagna, che avevo 
e non fu possibile
nostra cultura, perché la città con la sua menta- creato e curato completamente io, anche la regia, 
lità ci snobbava (erano gli anni ’60-’70). A scuola e che col gruppo di giovani del mio paese avevo 

quando dovevo esprimere un concetto, sia la ti- portata in giro. Ma poiché tutta l’impostazione 

midezza che questi motivi, mi veniva più facile teatrale si basava sul carattere del teatro di avan- 
dirlo col mio dialetto. Ricordo un’interrogazio- guardia – mi ispiravo infatti al teatro di Bertolt 
Fig. 4 – Vita già legata, 
ne in storia dell’arte: pur sapendo l’argomento, Brecht e al Living Theatre di Julian Beck – i miei cm 120 x 100,
tecnica mista su tela, 
avevo paura di sbagliare dicendolo in italiano e professori esaminatori di scenografia e sceno-
di Danilo Montenegro.
chiesi alla professoressa se potevo esprimermi 

in dialetto, per giunta cantando (il canto mi li- 
berava da ogni inibizione); era una questione di 

timidezza, dovuta al fatto di avvertire la sensa- 

zione di emarginazione, a quel concetto di classe 
sociale cui eravamo sottoposti noi figli di conta- 

dini, rispetto ai compagni più agiati. Ma solo così 

riuscivo ad esprimermi meglio, perché in quegli 
anni a scuola parlare in dialetto era assoluta- 

mente proibito. Anche il canto popolare era visto 

male, e per me che venivo da una famiglia dove 
tutti cantavano e suonavano era una sofferenza, 

quasi un’umiliazione. E siccome il canto mi dava 

anche un sostegno economico sono stato costret- 
to a cantare in italiano, ero la voce principale in 

molti gruppi che facevano per lo più musica leg- 

gera. La frequenza dei corsi di scenografia all’Ac-




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