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I costruttori 




di Carlo Menzinger di Preussenthal



Tutto cominciò un pomeriggio di primavera.
Laura era in cima a via Massaia, davanti all’ingresso della Facoltà di ingegneria di 

via di Santa Marta. Finita l’ultima lezione, Duccio uscì e la vide subito, anche se la sua 

ragazza era un po’ nascosta dal grande cancello. Era tipico suo, pensò, questo stare un 

po’ in disparte. Vederla lo fece sentire già più leggero e libero. Adorava i suoi grandi 

occhi scuri e quel suo sorriso aperto. Forse non era una modella ma Duccio la trovava 
stupenda. Una cosa che mancava in Facoltà erano le belle ragazze. A Ingegneria erano 

poche e irrimediabilmente brutte. Forse era meglio così, almeno non aveva distrazioni, 

ma gli piaceva posare gli occhi su qualcosa che meritasse. Per quel giorno le lezioni 

erano inite e, con la primavera che avanzava, le giornate si erano fatte più lunghe. Nei 

giorni precedenti aveva piovuto a più non posso, ma quel pomeriggio c’era un bel cielo 

terso. L’ideale per una passeggiata.
Si abbracciarono e scesero assieme la discesa di via Massaia, ino in via Vittorio 

Emanuele II. Da lì il triplice parco Stibbert - Baden Powell - Fabbricotti distava solo 

pochi passi, che percorsero senza quasi rendersene conto, nonostante la salita, per en- 

trare nel giardino del Museo Stibbert. La palestra che frequentavano assieme mostrava i 

suoi beneici! L’ingresso principale era ancora chiuso, come settimane prima, per lavori 

di restauro. Entrarono dalla porta in alto, quella vicino alla biglietteria, ma non acqui- 
starono alcun biglietto. Volevano solo fare due passi nel parco, non visitare il museo. 

Seguirono il bordo del palazzo ricoperto di stemmi nobiliari e scesero verso il laghetto 

con il tempietto in stile egizio.

Con tutti quegli alberi, il terreno però era fangoso e l’aria umida. Non si attardarono, 

proseguendo per il più soleggiato giardino Baden Powell, adiacente.
Duccio assaporò il profumo della terra bagnata. Alcuni cani correvano con gioia 

scomposta, dopo la recente reclusione pluviale. La loro vitalità li fece sorridere.

Avrebbero voluto sedersi sul prato, ma era ancora troppo bagnato. Scelsero una 

panchina al sole, che si era del tutto asciugata. Gli alberi in iore erano uno spettacolo 

in quell’aria limpida.

Si erano appena seduti, quando tutto cominciò.
Il cielo azzurro era macchiato da varie nuvole candide come batufoli di cotone. 

All’improvviso, quei colori furono ofuscati. L’aria si fece più scura. Prima, però, fu un 

rombo sommesso a colpirli.

– Un terremoto! – esclamò Laura, ma non capiva cosa fosse a tremare? Se fosse stata 

in casa, avrebbe alzato lo sguardo sui lampadari o su altri oggetti pendenti. Che cosa 

poteva controllare in un giardino? Il movimento dei rami ioriti sembrava dipendere 
solo dal soio del vento. La loro panchina si era mossa? Non le pareva.

– Non credo. – rispose Duccio titubante – non mi pare. È più come un ronzio. Un 

rombo sofuso. Come. come tante auto lontane.







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